JOSEPH CONRAD

Tifone


1.

Cuore di tenebra offre facilmente il fianco ad un’interpretazione pessimistica che rileva in esso la denuncia della banalità del male intrinseca alla natura umana. In realtà, come ho cercato di argomentare nella recensione, se di denuncia si tratta, il suo oggetto sono gli spiriti animali attivati dal capitalismo nella fase di espansione colonialista. La trasformazione di Kurtz, da idealista umanitario in cinico e spietato rappresentante dell’istinto di rapina prodotto dalla civiltà occidentale, è, per questo aspetto, inequivocabile. Conrad non è certo rousseauiano. Egli ritiene che la libertà umana sia aperta alla possibilità del bene come del male, e che il suo esprimersi in un modo o nell’altro dipenda dalle circostanze, particolarmente quando queste si pongono come estreme. Se esiste la banalità del male, pur senza il riferimento ad un’inclinazione naturale, esiste anche il contrario. La banalità del bene, vale a dire semplicemente di ciò che è giusto, è in effetti la tematica di fondo di un racconto del 1919, Tifone, divenuto famoso per lo straordinario realismo magico con cui viene descritta una terribile tempesta. La quale, peraltro, è solo un pretesto: una delle circostanze estreme, così frequenti nell’opera conradiana, che, mettendoli alla prova, "rivelano" la stoffa di cui gli uomini sono fatti. La rivelazione, in questo caso, è sorprendente, poiché riguarda uno dei personaggi più singolari creati dalla fantasia di Conrad: il capitano Mac Whirr, la cui presentazione non lascia dubbio alcuno su di una mediocrità senza scampo:

"Il capitano Mac Whirr, del piroscafo Nan-Shan, aveva una fisionomia che, nell’ordine delle apparenze materiali, era l’immagine esatta della sua mente: essa non presentava nessuna caratteristica marcata di fermezza o di stupidità; anzi, non aveva proprio nessuna caratteristica pronunciata; era semplicemente naturale, inespressiva e serena…

Fornito di tanta immaginazione quanta ne occorre per giungere, attraverso ogni giornata, alla giornata seguente, e non di più, Mac Whirr era tranquillamente sicuro di sé; e proprio per la medesima ragione non era per nulla presuntuoso. Il superiore dotato d’immaginazione è permaloso, prepotente e difficile da soddisfare; ma ogni nave comandata dal capitano Mac Whirr diventava la galleggiante dimora dell’armonia e della pace. In realtà, sarebbe stato tanto impossibile per lui spiccare un volo con la fantasia, quanto per un orologiaio rimettere insieme un cronometro senz’altri utensili che un martello da un chilo e una sega da falegname."

Che cosa abbia indotto un uomo siffatto ad abbandonare la tranquilla prospettiva di subentrare al padre nella gestione di una drogheria per fuggire sul mare è, per Conrad, un mistero che "basta, se ci si riflette, per suggerire l’idea di una mano potente, immensa e invisibile, che, cacciandosi nel formicaio della terra, afferra spalle, fa cozzare teste, e gira i volti inconsci della moltitudine verso mete inconcepibili e in direzioni mai sognate."

Quale che sia il motivo di una decisione così discordante, apparentemente, con il suo modo di essere, Mac Whirr fa carriera nella marina mercantile, giunge ad essere comandante, si sposa e ha una figlia.

Il successo professionale non è sorprendente. Scrupoloso, onesto, ligio al dovere, Mac Whirr rispetta i tempi e porta a buon fine i viaggi: è insomma un dipendente perfetto, un ineccepibile burocrate, dotato di quel tanto di spirito pratico e di ossessività che occorre ad un comandante mercantile, e fors’anche di un po’ di fortuna: egli, infatti, ha "percorso la superficie degli oceani come certi uomini scivolano sugli anni dell’esistenza per sprofondare dolcemente in una tomba tranquilla, ignoranti della vita fino all’estremo, senza mai avere avuto modo di vedere tutto quello che essa può contenere di perfidia, di violenza e di terrore."

A quello professionale, non corrisponde il successo privato. Giudicato dal padre "un asino" e "un semidemente", egli non raccoglie maggiore stima nell’ambito della famiglia acquisita: la moglie legge le sue lettere, nelle quali egli si limita a descrivere le condizioni metereologiche e che si concludono con una formula costante ("Tuo marito che ti ama"), con una noia sottesa da un’intima inquietudine ("il solo segreto della sua vita era l’abietto terrore del momento in cui suo marito sarebbe tornato a casa per rimanerci"); la figlia, messa al corrente dalla madre delle notizie che il padre invia, le accoglie con un’"indifferenza svagata". Anche gli ufficiali che dipendono da lui lo ritengono un uomo ottuso.

Nonostante la sua banalità, o forse proprio in virtù di essa, Mac Whirr si confronta nel modo migliore con la prova più ardua cui la sorte lo destina.

2.

Il Nan-Shan è un piroscafo che, nei mari dell’Estremo Oriente., trasporta merci e duecento coolies cinesi che tornano a casa dopo alcuni anni di lavoro in varie colonie tropicali ("ciascun figlio del Celeste Impero recava con sé tutto quello che possedeva al mondo — una cassetta di legno con gli spigoli d’ottone e un lucchetto di combinazione, entro cui erano i risparmi delle sue fatiche: alcune vesti da cerimonia, bastoncini d’incenso, forse un po’ d’oppio, cianfrusaglie indefinibili di mediocre valore, e un esiguo gruzzolo di dollari d’argento, faticato sulle chiatte di carbone, vinto nelle bische o guadagnato con piccoli traffici, strappato alla terra, sudato nelle miniere, sulle ferrovie, nella giungla mortale, sotto pesanti carichi — messo insieme pazientemente, guardato con cura, adorato ferocemente").

La circostanza estrema che mette alla prova Mac Whirr è la più banale e terribile che si possa presentare a chi va per mare: una tempesta. Egli è molto accorto nel prevederla e nel capire che essa si scatenerà proprio sulla rotta del Nan-Shan. Nonostante questo, non si pone minimamente il proposito di evitarla. Egli respinge quasi con indignazione la proposta del vice-comandante Jukes di aggirare la tempesta: "Supponiamo che io giri largo dalla rotta e arrivi con due giorni di ritardo e mi senta chiedere: "Dove siete stato tutto questo tempo, capitano?", che cosa potrei rispondere’ Dovrei dire: "Ho girato largo per scansare il cattivo tempo". Ed essi risponderebbero: "Dev’essere stato dannatamente cattivo". E io dovrei dire: Non lo so. L’ho scansato completamente"; "Un uragano è un uragano, signor Jukes… e un piroscafo nella pienezza dei suoi mezzi deve affrontarlo. Ce n’è tanto di cattivo tempo in giro per il mondo, ed è giusto passarci attraverso."

La tempesta di fatto è terribile, e pone a dura prova l’imbarcazione. Al suo culmine, allorché gli uomini dell’equipaggio, compreso il capitano, lottano avvinghiandosi alle sartie e tra loro per non essere spazzati via dalle onde, si scatena un’altra tempesta nelle viscere della nave. Sballottati come fuscelli, i coolies cinesi perdono il controllo sulle cassette che contengono tutto ciò che ciascuno di loro ha. Sbattute violentemente contro le paratie, queste si aprono come gusci d’uova. I dollari e le cianfrusaglie si spargono ovunque. Naturalmente ogni coolie cerca di recuperare affannossamente il proprio tesoro. La zuffa è terribile.

Mac Whirr non può sopportare disordini sulla sua nave. Nonostante l’infuriare del tifone, egli manda Jukes e alcuni marinai a sedare la zuffa. Si tratta di un ordine temerario. Per fortuna, i coolies sono esausti per cui riesce facile ridurli alla ragione e raccogliere alla rinfusa i loro miseri tesori.

La tempesta si placa per poco tempo, ma poi riprende più violenta di prima. Mac Whirr sviluppa finalmente il dubbio che la sua scelta di affrontarla non sia stata felice. Tale dubbio non evoca però in lui che un banale commento: "Mi spiacerebbe di perderla".

La fortuna lo assiste. Per quanto malconcio, il Nan-Shan scampa al naufragio e si avvia verso il porto. C’è da risolvere il problema dei coolies che, vistisi privati dei loro beni, potrebbero pensare di essere stati derubati e rivoltarsi. Questo è quanto teme Jukes, che propone al capitano di buttare giù nel corridoio i dollari e di lasciare che se la spiccino da soli. Mac Whirr, invece, è di diverso avviso: "Bisogna pensare qualcosa che sia giusto per tutti". La soluzione è salomonica: avendo i coolies lavorato tutti nello stesso posto e per lo stesso periodo di tempo, il denaro viene distribuito in parti uguali. Jukes commenta: "Trattandosi di un uomo così ottuso, mi sembra che se la sia cavata anche troppo bene".

3.

"Un uragano è un uragano, signor Jukes… e un piroscafo nella pienezza dei suoi mezzi deve affrontarlo. Ce n’è tanto di cattivo tempo in giro per il mondo, ed è giusto passarci attraverso."

Se assumiamo l’uragano come una metafora della vita nelle sue asprezze, e il piroscafo come una metafora dell’individuo che non può che scorrere attraverso essa, questa frase ci restituisce la filosofia di Conrad. L’individuo deve far fronte alle difficoltà senza tentare di aggirarle, deve accettare la sfida dell’esistenza, deve, in breve, riscattare la sua insignificanza con la serena fermezza di chi non ha altro da fare.

Messa, sia pure sotto forma di metafora, sulla bocca di un personaggio come Mac Whirr, questa filosofia sembra paradossale. Nonostante il suo solido buon senso, la laboriosità, la concretezza nel prendere decisioni, egli è veramente un essere mediocre, incapace di andare, nella comprensione dei fatti della vita, al di là del suo naso. Forse nulla nel racconto sottolinea la sua mediocrità più del contrasto tra l’amore che egli, sia pure formalmente, dichiara alla moglie e l’abietto terrore che questa ha al pensiero del suo ritorno a casa.

Inesorabilmente mediocre, Mac Whirr non è però insignificante. Rinunciando alla prospettiva di una quieta esistenza per affrontare il mare infinito, egli trasferisce in questa scelta la sua mentalità piccolo-borghese. Il paradosso è che questa mentalità, applicata ad un ambito che tradizionalmente richiederebbe fantasia, coraggio e spirito d’avventura, funziona. Perché? Mac Whirr ha il culto "istintivo" della misura, della concretezza, dell’ordine e di ciò che è giusto. Certo, questi valori non hanno alcuno spessore riflessivo, semplificano al massimo grado la complessità dell’esistenza, sono a tal punto banali da apparire, in alcune circostanze, irragionevoli. Ciononostante, essi risultano funzionali all’adempimento dei doveri di ruolo di Mac Whirr, almeno sotto il profilo lavorativo.

Il racconto, in breve, è un elogio della mentalità piccolo-borghese per quanto riguarda l’aspetto che filosofi e sociologi ritengono più inquietante: l’adattamento al mondo così com’è e la capacità di fare fronte alle asprezze della vita in nome di un senso del dovere che comporta il perseguire, con fermezza e con serenità, gli obiettivi prescritti.

Criticato ferocemente come espressione massima dell’alienazione borghese, che riduce l’uomo ad una sorta di automa efficiente e produttivo, spesso estinguendo ogni vibrazione emozionale, questo modo di essere, nonostante tutti i suoi limiti, — sembra dire Conrad — ha un suo valore.

C’è da pensare che abbia ragione. Ogni società ha bisogno di esseri adattivi, che non si pongano grandi problemi, e siano testimoni di come si deve vivere secondo le norme, le regole e i valori vigenti. Questa quota di esseri assicura la coesione, l’efficienza e la riproduzione sociale. Ad essi spetta il compito di essere realisti più del re, e di testimoniare che la vita, presa per un certo verso, non è un’impresa da far tremare i polsi. Un uragano è un uragano…

Vero è che se esistessero solo esseri adattivi, ogni società si cristalizzerebbe in forme chiuse ad ogni spinta evolutiva. C’è dunque bisogno anche di esseri disadattivi, che coltivino il sogno di mondi e di modi di vita possibili: esseri dotati di fantasia, di creatività e d’inquietudine, i quali sentano per istinto e per vocazione che l’uragano va aggirato, perché esso impone sterili sacrifici. La complementarietà dialettica di queste due categorie è il sale della storia.

Novembre 2004